jueves, 24 de marzo de 2016

Homework #9



L’ambulanza come macchina di salvezza




                            Enerst Hemingway, Addio alle Armi, Milano : Mondadori, 2015. 

Addio alle armi è una storia di amore e di guerra che Ernest Hemingway scrisse ispirandosi alle sue esperienze del 1918 sul fronte italiano. Il libro racconta la storia di un ufficiale americano conducente di autoambulanze al servizio dell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale.

La macchina che ricopre un ruolo da protagonista è proprio “l’autoambulanza”. Non per il semplice fatto di essere lo strumento indispensabile per il lavoro svolto dal personaggio principale, ma per rappresentare una via di fuga dagli orrori della guerra.

Inoltre questa macchina costituisce per il lettore un mezzo di conoscenza. La sua percezione come macchina di salvezza è conseguenza di tutto quello che c’è di negativo intorno alla guerra, rafforzando così il messaggio antibellico del libro in modo che questo sia evidente per chi legge, coerentemente con la massima dell’autore: “scrivere in modo semplice e chiaro soltanto cose che si conoscono”.

Diversi passaggi del libro mettono in luce una retorica antimilitarista e antibellica. Gli esempi più ricorrenti si vedono nei dialoghi fra i soldati, dove esprimono di essere contrari a combattere e che molti non disertano perché hanno paura delle ritorsioni che verrebbero fatte subire ai familiari. Lo stesso protagonista illustra il credo militare di Hemingway quando dice: "Ero sempre imbarazzato dalle parole sacro, glorioso e sacrificio…parole astratte come gloria, onore, coraggio o dedizione erano oscene accanto ai nomi concreti dei villaggi, ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti"; o quando afferma: "Stavo andando a dimenticare la guerra. Avevo fatto una pace separata".

Il seguente passaggio del libro racchiude tutto quello detto sinora. Racconta il disperato tentativo di un soldato di evitare di tornare al fronte a combattere una guerra alla quale non vuole partecipare e che per lui rappresenta solo la morte. Diventa chiarissimo come il titolo del romanzo, Addio alle armi, può essere collegato alla macchina che ricopre un ruolo di protagonista, dato che quest’ultima serve per portare i feriti lontano dai combattimenti.
“Il giorno dopo tornando giù dal primo ospedaletto, fermai l'automobile allo smistamento dove i feriti e ammalati venivano divisi secondo la destinazione segnata sulle cartelle…Passò un reggimento e guardai…Con molto ritardo arrivavano quelli che non erano riusciti a tener dietro al plotone, erano madidi, impolverati e stanchi. Alcuni avevano un'aria molto malandata. L'ultimo arrivò zoppicando, si fermò e sedette sul ciglio della strada. Scesi e andai da lui.

- Cosa c'è che non va?

- La guerra.

- Ti dà noia la gamba?

- No, non la gamba. Ho l'ernia.

- Perché non sei salito su un Camion? - domandai. - E perché non vai all'ospedale?

- Non mi ci mandano. Dice il tenente che ho fatto apposta a perdere il cinto.

- Lascia sentire.

- Ho paura che gonfi ancora. E' già il doppio di stamattina.

- Siediti e resta qui - gli dissi. - Quando mi avranno date le cartelle dei miei feriti, ti accompagno io in macchina dal servizio medico della tua brigata.

- Diranno ancora che faccio apposta.

- Ti manderanno all'ospedale.

- Non posso restare con lei Tenente?

- No, non ho la tua cartella.
… 
- Che gliene sembra di questa porca guerra?

- Che è uno schifo - dissi. Aldo.

- E' uno schifo, lo dico anch'io. Cristo, dico che è uno schifo.


- Senta, Tenente. Deve proprio riportarmi al reggimento?

- Sì.

- Perché il capitano medico lo sa di questa mia storia. Ho buttato via quel dannato cinto per stare peggio, e non tornare al fronte.

- Capisco.

- Non può portarmi da qualche altra parte?

- Se fossimo più vicini al fronte potrei accompagnarti al primo ospedaletto. Ma così indietro ci vuole la cartella.

- Quelli del reggimento mi operano e poi mi rimettono in trincea fino a che non ci resto.


- Senti - gli dissi. - Adesso scendi, e poi caschi in maniera da farti venire in testa un bel bernoccolo. Quando torno ti prendo con me e ti porto all'ospedale.

- Mi troverà qui, Tenente - disse.


Ritornai subito indietro, con l'ambulanza vuota, a cercare quello di Pittsburgh. Incontrai ancora una volta il reggimento più sudato e lento che mai, e la fila degli sbandati. Poi vidi ferma sulla strada una piccola ambulanza col suo cavallo. Due soldati stavano caricando quello con l'ernia. Erano tornati apposta per lui e, vedendomi, scosse la testa. Gli sanguinava la fronte sotto l'attaccatura dei capelli, aveva il naso scorticato; la ferita e i capelli erano pieni di polvere.

- Guardi che bel bernoccolo, Tenente, - gridò. - Ma non c'è niente da fare! Sono tornati a prendermi”
Il pericolo è in agguato anche per i conducenti delle ambulanze. Come lo dimostra la seguente frase: “Invece non ti accoppano in questo mestiere delle ambulanze. Ma sì, forse anche così. Quelli delle ambulanze inglesi c'erano rimasti qualche volta. Bene, a me non l'avrebbero fatta. Non in questa guerra. Non aveva niente a che fare con me questa guerra”. Il proseguire della storia dimostra che il protagonista si sbagliava. L’autoambulanza compie anche per lui la sua funzione da strumento di salvezza quando viene portato in un ospedale milanese dopo di essere stato ferito.

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